NOTIZIE MEDICHE
01/12/2009: Controllo e igiene dentale a Casa Dago
A.R.CO.92 ha stipulato un accordo con l'odontoambulanza
per realizzare presso Casa Dago il controllo e l'igiene
dentale di tutti i pazienti post-comatosi gratuitamente,
Per informazioni tel. 06/ 45405225
07/06/2009: LA CARTA DI SAN PELLEGRINO
Le associazioni dei familiari riunite nei coordinamenti
nazionali:
“La RETE – Associazioni Riunite per il
Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite”
e la “Federazione Nazionale Associazioni Trauma
Cranico (FNATC), operanti nel “Seminario permanente
sugli stati vegetativi” del Ministero della
Salute, al fine di tutelare la dignità, la
libertà e i diritti delle persone in stato
vegetativo e minima coscienza, le condizioni di grave
disabilità acquisite, in sintonia con gli operatori
sanitari in un percorso di alleanza terapeutica, concordano
i seguenti punti:
21/11/2007: Servizio Socialmente Utile per
il Soccorso
Gli operatori delle ambulanze hanno segnalato che
molto spesso, in occasione di incidenti stradali,
i feriti hanno con loro un telefono portatile, ma
gli operatori non sanno chi contattare tra la lista
interminabile dei numeri salvati nella rubrica.
Gli operatori delle ambulanze hanno lanciato l'idea
che ciascuno metta, nella lista dei suoi contatti,
la persona da contattare in caso d'urgenza sotto uno
pseudonimo predefinito.
Lo pseudonimo internazionale conosciuto è ICE
(In Case of Emergency). E' sotto questo nome che bisognerebbe
segnare il numero della persona che operatori delle
ambulanze, polizia, pompieri o primi soccorritori
potrebbero contattare.
In caso vi fossero più persone da contattare
si può utilizzare la definizione ICE1, ICE2,
ICE3, etc....
Facile da fare, non costa niente e può essere
molto utile.
E' una buona idea ed è anche promossa dalle
autorità preposte al soccorso.
Fate circolare la notizia in modo che questo comportamento
diventi un'abitudine diffusa.
Protezione Civile Roma <a href="http://www.rnsroma.it"
target="_blank">www.rnsroma.it </a>
01/11/2007: Caso Englaro Eutanasia per sentenza. E
non serve una legge
La Corte di Cassazione ha riaperto il caso di Eluana
Englaro, la giovane di origine carnica in stato vegetativo
da 15 anni. Bocciando la precedente sentenza del Tribunale
di Milano, che aveva risposto negativamente alla richiesta
dal padre di interrompere l’alimentazione assistita
che la tiene in vita, la Corte ha affermato che le
cure possono essere sospese se lo stato vegetativo
è irreversibile e se si può accertare
che la sospensione sarebbe stata voluta da Eluana,
qualora avesse potuto manifestare la sua volontà.
Ora, anche se la sentenza contiene, a dire il vero,
alcune pregevoli riflessioni (vedi riquadro in questa
stessa pagina), prevalgono tuttavia gli interrogativi.
La Corte ritiene che il medico può agire solo
sulla base del consenso informato e che esiste per
il paziente un diritto assoluto all’autodeterminazione,
anche quando l’esercizio di essa metta a repentaglio
la vita, fondamento della libertà stessa del
soggetto. Inoltre, secondo la Corte, la volontà
del paziente, quando non direttamente esprimibile
(per le condizioni di malattia) e non precedentemente
manifestata (con dichiarazioni anticipate di volontà),
deve comunque essere ricercata e, in mancanza di prove,
interpretata "nel suo interesse", cercando
di immaginare cosa egli avrebbe potuto scegliere in
tale circostanza. Nel caso che la volontà precedentemente
espressa dal paziente o i valori e le convinzioni
che di lui sono conosciute lascino ritenere che la
condizione di stato vegetativo «sia incompatibile
con la rappresentazione di sé sulla quale egli
aveva costruito la sua vita […] e sia contraria
al di lui modo di intendere la dignità della
persona», si sentenzia che l’interruzione
delle cure (e la conseguente morte per denutrizione
e disidratazione) può essere consentita «quando
la condizione di stato vegetativo sia […] irreversibile»
e non via sia nulla che «lasci supporre che
la persona abbia la benché minima possibilità
di un qualche, sia pur flebile, recupero della coscienza
e di […] percezione del mondo esterno».
Allorché tali condizioni non siano verificate,
il giudice deve negare l’autorizzazione, dovendo
allora essere data «incondizionata prevalenza
al diritto alla vita, indipendentemente dal grado
di salute, di autonomia e di capacità di intendere
e di volere del soggetto interessato, dalla percezione
che altri possano avere della qualità della
vita stessa, nonché dalla mera logica utilitaristica
dei costi e dei benefici». Le conclusioni della
Corte destano profonda preoccupazione per gli inquietanti
scenari che aprono.
La sentenza sembra infatti riconoscere valore assoluto
all’autodeterminazione del paziente, il quale
avrebbe diritto anche a chiedere di essere lasciato
morire, in analogia a quanto è avvenuto in
alcuni Stati esteri. Secondo la Cassazione, infatti,
anche se da una certa azione o omissione deriva la
morte certa del paziente, comunque questi è
libero di tenere ferma la sua volontà. Inoltre,
sempre in accordo con il mondo anglosassone, laddove
– a causa della perdita di coscienza –
il paziente non abbia la possibilità di esprimere
la sua volontà, qualunque strumento può
essere utile per accertarla: scritti, testimonianze
o finanche l’interpretazione di quelli che avrebbero
potuti essere i suoi convincimenti, se quella situazione
fosse venuta a determinarsi. Dunque un’estensione
del principio di autodeterminazione vincolata solo
da una remora: che sia possibile, senza alcun dubbio
scientifico, giudicare come irreversibile la condizione
del paziente.
Ferma restando che la sentenza espone il fianco anche
a critiche di ordine bioetico e giuridico, giova sottolineare
poi che appaiono poco sostenibili i presupposti di
ordine medico su cui la Corte fonda il suo ragionamento.
Innanzitutto, è stata sposata acriticamente
la pretesa equiparazione dell’idratazione e
della nutrizione a trattamento medico, facendo propria
l’operazione di ingegneria linguistica con la
quale negli Stati Uniti fu risolto nel 1976 il caso
Quinlan. A parere dei giudici, «non v’è
dubbio che l’idratazione e l’alimentazione
artificiali con sondino naso-gastrico costituiscono
un trattamento sanitario». Molti invece ritengono
che solo una forzatura semantica ha potuto trasformare
in trattamento medico ciò che da sempre veniva
universalmente considerato assistenza di base, al
pari della mobilizzazione o del riscaldamento del
paziente. Il secondo controverso è quando afferma
con troppa sicurezza che la Englaro «in ragione
del suo stato, è radicalmente incapace di vivere
esperienze cognitive ed emotive, e quindi di avere
alcun contatto con l’ambiente esterno».
Un’ampia documentazione scientifica ha dimostrato
che molti di questi pazienti hanno delle reazioni
agli stimoli, non evidenziabili all’esterno,
ma che è possibile rilevare con particolari
metodi d’indagine, quali i potenziali evocati
evento-correlati e la risonanza magnetica funzionale.
Infine, secondo i giudici, «risulta pacificamente
dagli atti che (la paziente) giace in uno stato vegetativo
persistente e permanente». In casi come questo
«la scienza, con procedimenti rigorosi è
in grado di stabilire l’irreversibilità
del coma e la perdita definitiva della coscienza di
sé». Non ci sarebbero pertanto «problemi
sull’applicazione del primo presupposto»
(quello dell’irreversibilità). Peccato
che tale impostazione sia assurda, prima di tutto
dal punto di vista filosofico. Infatti, l’irreversibilità
di un processo per essere dimostrata richiederebbe
una osservazione protratta fino all’infinito
o comunque fino alla fine spontanea del processo stesso
(la morte). Dal punto di vista medico poi, la definizione
di stato permanente o irreversibile è sempre
più contestata e si preferisce parlare, per
ciascun paziente, di stato che perdura da un determinato
intervallo di tempo. Recenti esperimenti di stimolazione
elettrica cerebrale profonda dimostrano che, in qualche
caso, è stato possibile, per così dire,
riaccendere un interruttore che si era solo spento
temporaneamente. È certo comunque che se la
probabilità di uscire dallo stato vegetativo
si riduce progressivamente col passare del tempo,
è altrettanto vero che sono numerosi i casi
di pazienti definiti in stato vegetativo cosiddetto
permanente che si sono poi risvegliati, anche a distanza
di molti anni. Né è possibile stabilire
a priori chi tornerà a comunicare con l’esterno
e chi no, anche a parità di lesioni. Il giudizio
di "irreversibilità" è complicato,
infine, dal tasso di errore diagnostico, molto elevato,
anche in centri qualificati.
Pretendendo un’irreversibilità della
condizione clinica di perdita della consapevolezza,
tale sentenza, più che nello stato vegetativo,
troverà un fertile campo d’attuazione
nel paziente demente. Proprio nelle demenze in fase
avanzata, infatti, la difficoltà alla nutrizione
per via orale può accompagnarsi alla perdita
irreversibile della capacità di contatto con
l’ambiente, potendo le condizioni cliniche solo
peggiorare con il progredire inesorabile della malattia.
Forti della sentenza della Cassazione, sulla base
di dichiarazioni scritte o orali rese dal paziente
quando ancora era in grado di manifestare la sua volontà,
o tenendo conto del suo stile di vita precedente,
o anche solo valutando le sue convinzioni (più
o meno ben interpretate dal "fiduciario"),
sarà allora possibile togliere il sondino che
alimenta il paziente demente e lasciarlo morire "nel
suo miglior interesse". È verosimile che
presto Eluana Englaro diventerà la Terry Schiavo
d’Italia, ma «quante persone – si
chiedeva Veronesi su "Repubblica" del 17
Ottobre – hanno espresso, per caso o per volontà,
il proprio pensiero circa una possibile vita artificiale?
[…] Che faremo con tutti loro, se i presupposti
di questa sentenza diventano, come speriamo, criteri
per le altre?».
Dal punto di vista della prospettiva culturale, la
sentenza è poi in linea con il recente proscioglimento
del dottor Riccio per la vicenda Welby. Certo quest’ultimo
era perfettamente cosciente, in grado di determinare
le sue scelte e manifestare la volontà, ma
ciò che accomuna i due casi è la spinta
all’assolutizzazione del principio di autodeterminazione:
in nome di una libertà individuale portata
all’estremo, si arriva a negare la fonte stessa
della libertà umana, che è la vita.
La strategia che sembra delinearsi è quella
di una via giudiziaria all’autodeterminazione
assoluta, in barba a tutte le discussioni sul testamento
biologico in corso nelle aule parlamentari. Come sottolineato
con compiacimento da Veronesi, ancora una volta, «sono
i giudici a sopperire alla politica». Una concezione
creativa della magistratura dimostra di essere in
grado di legiferare su temi controversi, esautorando
di fatto il Parlamento e la sovranità popolare
e correndo lungo un pericoloso piano inclinato verso
l’eutanasia.
*professore straordinario di Neurologia Università
di Udine
24/09/2007: Durante voi, vado a Vivere da
solo
Si è svolto, presso la Sala Rosi del Dipartimento
V Politiche Sociali, un incontro dal titolo “Durante
voi, vado a Vivere da solo”, percorso di autonomia
per ragazzi con problemi cognitivi lievi e gravi.
All’ incontro organizzato dall’On. Ilena
Argentin consigliere delegato per le politiche dell’handicap
e Salute Mentale del Comune di Roma erano presenti
Ilaria Ceccarelli, delegato alle politiche sociali
del XIX Municipio, Alberto Zuliani presidente della
Fondazione Dopo di Noi, Fausto Giancaterina dirigente
U.O.HDm del Comune di Roma. All’incontro hanno
partecipato numerose realtà del settore tra
cooperative e associazioni operanti nella disabilità
e nella salute mentale.
Il progetto nato da un’idea di Ileana Argentin
e Ilaria Ceccarelli evidenzia la sensibilità
acquisita in questi ultimi anni dal Comune di Roma
rispetto alle problematiche concernenti i cosiddetti
“Durante e dopo di Noi” in riferimento
alla disabilità, sia fisica che intellettiva.
L’obiettivo del progetto è quello di
evitare di affrontare il “Dopo di noi”
in situazioni di emergenza e di porre le persone con
disabilità nelle condizioni di poter affrontare,
qualora lo scelgano, un percorso di autonomia e per
far sì che questo avvenga quando lo ritengano
opportuno.
Questo è la finalità politica emersa
dall’ incontro in occasione della presentazione
del progetto “Durante voi, vado a vivere da
solo”.
Il progetto parte dall’idea di come si sia reso
necessario rivedere i principi su cui si fonda l’esperienza
del Dopo di noi, nonostante gli ottimi risultati ottenuti
nella Capitale in termini di quantità e qualità.
Il “Durante noi” riconosce alla persona
con disabilità, non la sua debolezza, ma la
sua capacità di vivere con gli altri..
Oggi accade che il momento in cui vengono a mancare
le figure materne e paterne spesso corrisponde ad
un’età adulta della persona disabile,
e non è facile affrontare un cambiamento repentino
e invasivo come la residenzialità, ovvero essere
inseriti all’interno di strutture, con persone
sconosciute in un momento che coincide con la perdita
dei propri cari..
In questi anni il Comune di Roma si è impegnato,
attraverso progetti e risorse, nell’edificazione
e promozione delle esperienze del “Dopo di noi”,
concepiti in situazioni di emergenza e quasi esclusivamente
rivolti a persone con disabilità mentale lieve
o grave seguendo un iter burocratico: la Asl segnala
il caso e la patologia, il Comune assegna e realizza
un percorso personalizzato per l’inserimento;
ma ad oggi è indispensabile cambiare il modo
di vedere la disabilità perché, fortunatamente,
è cambiato l’aspetto sociale e la loro
qualità della vita. L’idea del “Durante
voi, vado a Vivere da solo”, ruota intorno al
presupposto che la persona con disabilità nel
suo percorso verso l’autonomia e l’autodeterminazione
non deve essere lasciata sola, ma accompagnata attraverso
gruppi famigliari, anche informali..
Le case fatte fino ad ora sono composte da persone
che non si conoscono e non si sono mai conosciute
prima. Si dovrà quindi partire prima dal territorio,
creando gruppi informali di “famiglie”
e associazioni che nel tempo consolideranno un rapporto,
e a quel punto partiranno percorsi di autonomia all’interno
dei quali i ragazzi disabili in prima persona decideranno
se andare a vivere da soli e quando farlo..
“Il progetto, ambizioso
in ogni sua parte” - sottolinea Ileana Argentin
- “deve necessariamente prevedere la partecipazione
anche dell’Asl di riferimento per una presa
in carico socio-sanitaria dell’utente, dall’inizio
alla fine della vita, prescindendo dalla famiglia”
.
Tutto ciò è possibile se i soggetti
coinvolti dalla Asl alla famiglia fino ai servizi
e alle associazioni di settore, concordano sull’uso
delle risorse.
Per dar vita a questo progetto verranno promossi nei
prossimi mesi incontri progettuali rivolti ad amministratori,
associazioni, delegati politici e cooperative per
dare inizio a un nuovo ciclo di interventi per l’autonomia
delle persone con disabilità.
13/01/2007: Meeting sulle Attività
Diagnostiche
Meeting – Si è svolto a Roma il 13/01/07
un Meeting sulle Attività Diagnostiche Terapeutiche
del Paziente in Stato Vegetativo Post Acuto; Doveri
e Limiti; Accanimento Terapeutico. Erano presenti:
Dott. Avesani Renato, Medico
Dott.ssa Bruni Federica, Psicologa
Dott.ssa Chiambretto Paola, Psicologa
Sig.a Di Girolamo Elena, Presidente Associazione Familiari
Prof. Dolce Giuliano, Medico
Dott. Elefante Rosaria, Avvocato
Prof. Faggioni Maurizio, Medico – Prof. Bioetica
Dott. Feller, Sandro, Medico
Dott.ssa Formisano Rita, Medico
Prof. Gigli Gianluigi, Medico
Dott. Granata Alfredo, Avvocato
Dott. Leocata Ranieri, Medico
Dott.sa Lucca Lucia, Medico
Dott.ssa Persiano Paola, Psicologa
Dott.ssa Pistarini Caterina, Medico
Dott. Rago Roberto, Medico
Prof. Staglianò Antonio, Sacerdote
Dott. Vallasciani, Massimo, Medico
Sig.ra Villa Elena, Presidente Associazione Familiari
Dott. Zampolini Mauro, Medico
Proposte Conclusive:
Costituire un’Associazione denominata Vi.Ve
(Vita Vegetativa)
Istituire un sito
Inviare un documento alla stampa (tutti i giornali),
alle riviste scientifiche (per accelerare i tempi
nelle recensioni), al Ministreo della Salute, al Comitato
di Bioetica, alle società scientifiche.
05/02/2004: STUDIO GISCAR
Nella sezione Progetti
e Studi si trovano le informazioni relative allo
Studio Giscar.
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